mercoledì 11 novembre 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Galatea, più dolce di un grappolo maturo...dell'Etna



Ad una bellissima ninfa del mare è dedicato questo mercoledì Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi.

Galatea, una delle cinquanta Nereidi della mitologia greca, abita il fondo dell'oceano. Rappresentata in tutto il suo splendore, durante il Rinascimento, su una conchiglia trainata da delfini, protegge i marinai.


Raffaello Sanzio, Trionfo di Galatea, 1512




(...) Lì seduto,
poggia ai suoi piedi il pino, che gli serve
come fosse un bastone, ma più adatto
a reggere le antenne, e, preso in mano
lo zufolo legato in cento canne,
fa risuonare intorno i monti e il mare
del suono pastorale. Ben celata
dietro una rupe, in grembo ad Aci mio,
ascolto da lontano. Alle mie orecchie
giungono le parole: – O Galatea,
più candida del candido ligustro,
più fiorita dei prati, più slanciata
dell’ontano e più splendida del vetro,
più scherzosa di un tenero capretto,
più leggera dell’acqua contenuta
nelle conchiglie ruvide per l’onda,
più gradita del sole nell’inverno,
più gradita dell’ombra nell’estate;
più nobile dei frutti, più attraente
d’un altissimo platano, del ghiaccio
tu sei più trasparente; sei più dolce
di un grappolo maturo; sei più molle
delle piume del cigno e più del latte
appena coagulato; se non fuggi
sei bella come un orto quando è irriguo.

Eppure, Galatea, sei più feroce
dei giovenchi indomati, sei più dura
d’un albero di quercia secolare,
più fallace dell’onda, più indolente
delle verghe dei salici e i vitigni;
più salda di uno scoglio come questo,
più rapida del fiume, più superba
d’un pavone lodato; sei pungente
più delle spine ed aspra più del fuoco
più torbida di un’orsa che ha sgravato;
sei più sorda dei flutti, più aggressiva
di un serpe calpestato; più fugace,
(oh, potessi impedire che lo fossi!)
non soltanto del cervo intimorito
dai latrati dei cani, ma perfino
del vento più veloce e della brezza.
Quando mi conoscessi, certamente
non vorresti fuggire. Rifiutando
un qualsivoglia indugio, tu per prima
vorresti trattenermi. Sì, possiedo
degli antri naturali, in roccia viva:
sono parte del monte, dove il sole
non si sente d’estate, né d’inverno
si sente il freddo; e molti bei frutteti
stracarichi nei rami, ed ho filari
lunghissimi di viti, dove i chicchi
brillano come l’oro, ed uve rosse.
Le conservo per te, queste e quelle altre.






Galatea, Gustave Moreau, 1880


E' il ciclope Polifemo che parla, nelle Metamorfosi di Ovidio. Al suono del suo flauto, cerca di attirare la meravigliosa Galatea di cui si è invaghito.



Teatro della vicenda, l’area vulcanica e costiera dell’Etna, da sempre ricca di fonti come tutto il complesso territoriale della montagna.


L'Etna vista dalla Tenuta di Fessina



Protagonisti di questa storia tipica della Magna Grecia: Polifemo, ciclope innamorato; Aci, giovane e aitante pastore etneo; Galatea, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlie di Nereo e Doride (...).
Aci, il pastorello, è bellissimo. Galatea ne è innamorata. Polifemo è innamorato di Galatea. Ecco quindi il triangolo dell’amore che non tarda a creare guai con l’aggiunta di un tocco di distruttiva gelosia. In un suo primo tentativo Polifemo cerca di adescare la sua ninfa preferita con il suono di un flauto (simbolo evidente di lussuria), ma la cosa non riesce. La rabbia arriva immediatamente, moltiplicata poco dopo dal fatto di sorprendere Galatea e Aci insieme.
Polifemo prende una roccia e la scaglia contro Aci, colpendolo (i ciclopi amano l’uso delle rocce come proiettili – una riprova è nell’Odissea con il bersaglio/Ulisse prescelto dai ciclopi in quell’epopea).
Il bel pastore è colpito a morte, ma Galatea, in un ultimo tentativo di tenerlo in vita, trasforma il sangue del suo amato in acqua di sorgente. Aci diviene così un dio fluviale.



Georg Friedrich Händel, Aci, Galatea e Polifemo

Un'altra versione del mito narra che gli dei, mossi a pietà dallo strazio della dolce Galatea, decisero di trasformare il corpo dell'amato pastorello in sorgenti d'acqua dolce che sgorgavano dai pendii del vulcano.



Tutti in Sicilia furono colpiti dall'amore disgraziato di Aci e Galatea e, in memoria del pastorello, fu deciso di usare il prefisso Aci per nominare tanti paesi della costa. Ben nove i centri della Sicilia orientale che portano il ricordo di questa leggenda.

Fra Aci Reale e Aci Trezza, nel paese di Capo Mulini sulla costa, esiste infatti ancora oggi una sorgente chiamata “Il sangue di Aci”. Sono sbocchi di acqua dolce che, nella provincia catanese, gorgogliano anche in mare: Aci si presenta agli amanti delle escursioni marine con spinte verso l’alto di acqua fredda e non salata, che proviene da spaccature nel fondo marino.

C'è da immaginarsi che il dio fluviale Aci stia riabbracciando la sua candida e dolce Galatea...

3 commenti:

Antonio ha detto...

Cara Silvia,
che magnifico carme contadino quello che estrai da Ovidio! Una profferta d’amore disperatamente ruvida, nient’affatto spirituale o ideale eppure così riccamente contadina!
Ricorda i (ben più sereni) paragoni d’amore del Cantico dei cantici, figlio pure esso di un ancestrale mondo agricolo e pastorizio non mai del tutto perduto, fortunatamente, anche in alcune zone d’Italia.
I grandi poeti che trascendono e cantano i sentimenti eterni di ogni tipo di gente..
Sembra quasi dire: “Tu sei bellissima e io no, ma io ho una certa posizione, una ricchezza ineguagliabile che offro a te sola..”. Per dirla alla Mastro Don Gesualdo: “Io ho la roba”.
Lo so, non si può certo dire un corteggiamento romantico ( ma possiamo in definitiva ricordare che uno dei figli del Romanticismo con la R maiuscola fu la creatura di Frankestein?). Romantica è la genuinità delle parole, quell’offrire la propria quotidianità. E cos’è questo, credo, se non offrire la propria vita intera? Due chicchi d’uva possono anche significare una devozione totale…
E allora mi piace per una volta vedere diversamente il grossolano, violento Polifemo, protagonista sempre negativo a fronte degli eroi già allora un po’ hollywoodiani, belli e in ogni caso vincenti, premiati dagli Dei in vita e in morte.
Questo ciclope, di un’origine divina a quanto pare negletta, pronipote della stirpe dei grandiosi fabbri dell’Etna, padre putativo di Frankestein e antesignano di tutte le creature reiette della storia.
Certo, non posso dare un nuovo cavaliere alla bella Galatea, tutto quello che ha desiderato è Aci e giustizia vuole che i 2 eterni giovani rimangano insieme (sennò che meschina eternità sarebbe?).

Però, per gioco, per una volta, potremmo trasformare Polifemo nell’eroe che non è stato. Ne faremo il manifesto degli sconfitti, degli emarginati, dei diseredati che nonostante tutto, con la poesia della fatica quotidiana, trovano nella durezza dei loro giorni un pieno riscatto. E possiedono un cuore che batte e li fa, a volte, zufolare per amore. Suona ancora Polifemo, per ogni Galatea che incontrerai..
Se la fortuna non ti arriderà ancora una volta, almeno noi potremo godere dei tuoi meravigliosi canti campestri..
E poi, Silvia, questo passo dell’Odissea, da Wiki, sui ciclopi:

« Questi si affidano
ai numi immortali: non piantano alberi,
non arano campi; ma tutto dal suolo
per loro vien su inseminato e inarato,
orzo e frumento e viti che portano vino
nei grappoli grossi, che a loro matura
la pioggia celeste di Zeus ».

Polifemo, anche un biodinamico?

silvia ha detto...

Antonio caro, che bellissimo commento!

Riabilitiamo Polifemo, "antesignano di tutte le creature reiette della storia". E poi, Polifemo biodinamico! ;-)))Un punto di vista che non avevo davvero preso in considerazione.

Grazie per la sensibilità grande con cui arricchisci questi nostri appuntamenti del mercoledì.

silvia ha detto...

Antonio caro, che bellissimo commento!

Riabilitiamo Polifemo, "antesignano di tutte le creature reiette della storia". E poi, Polifemo biodinamico! ;-)))Un punto di vista che non avevo davvero preso in considerazione.

Grazie per la sensibilità grande con cui arricchisci questi nostri appuntamenti del mercoledì.