mercoledì 21 dicembre 2011
“Il Barone della Luna” di Pilade Cantini per il concorso letterario di Villa Petriolo WINE ON THE ROAD
Con il bel racconto “Il Barone della Luna”, Pilade Cantini ha partecipato al concorso letterario di Villa Petriolo edizione 2011 “Wine on the road”.
Pilade Cantini è nato a San Miniato (PI) nel 1972. Laureato in Storia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, è autore e curatore di diverse pubblicazioni a carattere letterario, storico e umoristico. Attualmente è impiegato presso il Comune di Firenze.
Racconto “Il Barone della Luna” di Pilade Cantini
Grappoli d’uva. Ciocche. Le rotondità non mentivano. E non ammettevano sfumature. Quasi mai. Poi la mano del Barone si strinse, con dolcezza. E sul palmo si sentì accarezzare da un capezzolo. Le foglie s’erano trasformate in lenzuola di lino. E pensò di svegliarsi.
La finestra aperta faceva entrare un insolito cinguettio e una nebbiolina tiepida che profumava ancora di luna. Aveva dormito con la camicia bianca. Ma senza boxer, per evitare i tatuaggi dell’elastico.
Dette un’occhiata a Selene, che sognava sdraiata di fianco, con il gomito sotto il guanciale e i piedi allineati come se stesse per tuffarsi da un trampolino.
La bordolese sul tavolo ospitava gli ultimi sei centimetri di Sangiovese. Il Barone bevve senza usare il calice.
Con l’unghia del pollice accese un’altra sigaretta all’oppio, poi strizzò l’ultimo gocciolo di vino: il Barone della Luna non badava a spese.
Una lacrima di Sangiovese volò a picco verso la camicia bianca e si posò sul rimbocco della manica formando una macchia a forma di Madagascar. Il Barone si punse un polso con un spillo, e poi col sangue fece un segno sul nord-est della macchia, come a fissare Antananarivo, la capitale dell’isola. Il Barone della Luna non perdeva mai un’occasione per ripassare un po’ di geografia. Ma si pentì abbastanza di non aver messo una camicia azzurro oceano.
L’autunno di tre anni prima era stato in Madagascar, aveva una capanna vicino al Lago Alaotra. Era lì quando si scatenò l’incendio vicino alle risaie. Faceva un freddo abbastanza strano per quelle latitudini. Era andato per giocare a scacchi con un amico malgascio e per comprare qualche bottiglia di vino della Matsiatra. Un giorno ne tracannò e dismisura e dormì dall’alba al mezzogiorno del giorno successivo. Proprio durante l’incendio.
Si sveglio senza essersi accorto di niente.
L’incendio era stato domato in poche ore, gli ultimi elicotteri stavano tornando alla base e una parte consistente della zona era invasa da fumo bagnato. Il Barone sorrise, e si avviò a passo lento verso la sua capanna. Cercò di ripararsi le orecchie con il bavero del suo loden verdeoliva perché un incendio non era bastato ad addolcire una temperatura inspiegabilmente rigida e avversa.
“Arriverà l’estate…” pensò tra sé il Barone, mentre la cenere e il fango gli spalmavano di grigio la pelle degli stivali. Una manciata di funghi alla brace l’aspettava impaziente: mise le dita in tasca, lasciò perdere il bavero e aumentò il suo passo. Meno male che portava un maglione a collo alto, sennò un ramo di roso l’avrebbe di certo ferito.
La capanna si era salvata, c’avrebbe scommesso, perché le zone intorno al lago sono, di tutta la provincia, le più fortunate. E il Barone della Luna lo sapeva.
Tra le cortecce dei tròppoli e la canapa delle tendine c’era sempre una scacchiera di creta, pronta ad una sfida tra Rossi e Neri. E il Barone, veloce, muoveva sempre per primo. Talvolta leggeva Balzac, tanto per distrarsi. E quando s’annoiava più del solito fuggiva in Messico, a disegnare ghirigori con la china.
L’Oceano non gli piaceva al Barone, preferiva le acque calme di un torrente, ma solo di fronte a quella pennellata semiblù poteva cantare a squarciagola Summer on solitary beach. Sull’Oceano sono in tanti a ritrovare la voce. E il Barone fu lì che trovò Selene. Bianca come una canna di bambù. Era mercoledì: lui vendeva dadi d'ananas e banane in riva al mare, lei leggeva i fondi di caffè, a gambe incrociate sotto un pergolato di vite americana.
Il Barone la guardò senza malizia.
Lei sorrise: “Non hai caldo con quel maglione a collo alto?”
“Un po'. Ma ho più paura delle rose...”
“Nel tuo destino non ci sono rose, solo girasoli. I fondi di caffè non mentono.”
“Allora stasera ceniamo insieme?”
“D'accordo. Ti porterò un mazzo di rose. Se hai paura è bene che ti passi subito.”
Il Barone, quella sera si presentò a torso nudo, ma con le basette più lunghe e più bionde del solito.
Selene si presentò con cinque girasoli e quando glieli dette commentò a bassa voce: “I fondi di caffè non mentono. Mai.”
Passarono insieme due settimane. Giorno e notte. Poi, una mattina, il Barone prese un volo per Bilbao. Era un giovedì.
Selene lo avrebbe ritrovato due anni dopo. Per caso. Durante una sfilata di moda a Ulan Bator.
“Anche tu in Mongolia?”, fu il saluto improbabile di Selene.
“Mi sposi?”, rispose il Barone arrossendo per la prima volta dopo tredici anni.
“Ma sì, tanto domani è domenica.”
Quando l'ho conosciuto, il Barone della Luna, era già adulto.
“In campagna s'invecchia prima, ma si vive più a lungo” era la sua frase preferita, quelle poche volte che parlava. Continuava a giocare a scacchi tra Rossi e Neri, a fumare sigarette all’oppio, a disegnare cartine geografiche sui papiri e a suonare il djambé nei giorni di vendemmia.
Nelle notti senza stelle scriveva milonghe, autoritratti – a tratti – distratti:
“Son Barone della Luna
son cocchiero in gran tempesta
c’ho la mano forte e lesta
lo stivale in pelle nera
folta e d’oro la criniera
che riluce sulla testa.
L’espressione triste e mesta
di velluto il pantalone
tra ruggiti di leone
sono nato sotto il sole
sopra un manto di viole
rifiorite all’occasione.
Con il collo del maglione
mi proteggo dai pensieri
di sapienti masnadieri
di corsari inconcludenti
luccicando come i denti
che rosicchiano i bicchieri.”
Ma eran ben altri i versi che l’avrebbero reso famoso. Versi introversi, con postille di rame e note a piè di pagina.
Questo sarebbe successo al tempo delle coccinelle e della sangria. Al tempo di quando avrebbe incominciato ad affrescare le nuvole. Al tempo di quando non si sarebbe capacitato del perché Selene diventasse ogni giorno più bella e ogni giorno più bianca.
Il Barone della Luna, quando l'ho conosciuto, non parlava quasi mai. Ma quando meno te l’aspettavi dissertava a lungo sui vicoli di Parigi, sui marciapiedi di Pigalle, sulle foglie rossobruciate a tratteggiare la Senna, sui sogni della Comune, sul sepolcro di Jim Morrison, sugli odori della metropolitana, sui volti appiccicosi dei mimi, sulle finestre nei tetti, sui culi alle finestre, sulle negre verdi della periferia.
Era nato tra i girasoli, il Barone della Luna, e questa era la sua grazia e la sua condanna. Non avrebbe mai trovato centri di gravità permanente, perché credeva al basso ventre più che all’intelletto dei romantici o alla passione dei razionalisti. Credeva nel vino, nell'aceto e nei tramonti. Nutriva qualche dubbio sull'olio e sulle galline. Diffidava dei golosi di rucola e dei ghiotti di limoncello. Ma quando giocava a scacchi muoveva i Rossi, per primo. E rideva soltanto all’ampio gesto a Elle del Cavallo.
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