mercoledì 3 giugno 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Caterina de' Medici e l’arte del lauto e fino mangiare


Caterina de’ Medici è l’ospite gradita di questo mercoledì Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi.

Fino al XX secolo avvolta da una leggenda nera che la voleva machiavellica, malvagia, dispotica, dedita alla magia nera, l’ ereditiera dei Medici pare fosse in realtà una regina amabile, votata ad un ideale di pace e concordia che ha ricercato, fiera, sino alla fine.



“Il duca d'Anjou, terzo figlio di Caterina, succede a suo fratello sotto il nome di Enrico III, dopo essere tornato in Francia dalla Polonia di cui era stato eletto re. Enrico è il figlio preferito di Caterina e senza dubbio il più intelligente tra i tre. Caterina lo lascia governare da solo, senza tuttavia cessare mai di impegnarsi per la pace. È lei infatti che porta avanti i negoziati e che viaggia attraverso la Francia per far rispettare gli editti di pace. Inizia quindi nel 1578 un secondo viaggio per la Francia che la porta a Nérac dove fa sì che sua figlia Margherita si riconcili con il proprio sposo il re di Navarra. Nel conflitto che vede opposto il re al proprio fratello, Francesco duca d'Alençon, Caterina è costantemente presente affinché si ristabilisca nuovamente la pace. Nonostante abbia ormai quasi raggiunto i sessant'anni, non esita mai a pagare di tasca propria il prezzo dell'impopolarità della corona francese. Nel 1585 parte per l'est per richiamare i Guisa all'ordine. Nel 1586 inizia nel sud-ovest dei negoziati con Enrico di Navarra. Nonostante la diffidenza nei confronti della famiglia reale, dopo il suo peregrinare per il paese quando Caterina è in vista di Parigi, tutta la cittadinanza le muove incontro e acclama questa indomita donna che ancora a 68 anni trova la forza e la caparbietà di lottare per il proprio ideale della concordia: è il vero trionfo di Caterina. Infine, allo scoppio della Giornata delle barricate (1588) la regina madre non ha paura di affrontare la ribellione parigina e percorre a piedi le strade di Parigi aprendosi un varco tra le barricate. A forza di battersi con e contro tutti per l'armonia interna al regno, Caterina de' Medici è divenuta agli occhi dei contemporanei una figura fuori dal comune che impone rispetto. Tuttavia, la sua ostinazione a lottare inutilmente contro degli elementi incontrollabili fa sì che Caterina si allontani dalla realtà e che la sua causa sia più che mai priva di considerazione”.



Ci piace ricordare qui Caterina de’ Medici, oltre che per le doti di grande conciliatrice, per quella “tattica della tavola”, quella passione per il cibo e le tecniche per soddisfarla, che ha diffuso alla corte di Francia.


Jacopo di Chimenti da Empoli (Firenze 1551-1640), “Nozze di Caterina de’ Medici con Enrico di Valois”, 1600, olio su tela, cm 227x235. Firenze, Galleria degli Uffizi



Caterina, che proveniva da una delle corti più fastose d’Italia, si fece accompagnare a Parigi dai suoi fidi cucinieri: tra gli altri, le cronache riportano la presenza della governante, di alcuni pasticceri, tre cuoche provenienti dal Mugello, un gelataio di Urbino. La cucina toscana, con tutti suoi profumi, i sapori dolce e forte, sbarcò oltralpe. La torma di italiani corrotti – sic! - al seguito di Caterina esportò tanti piatti che risalgono alla nostra tradizione e che tuttora si gustano con immutato piacere sul nostro territorio. Ghiotta sicuramente di cibreo, non disdegnava l'anitra con la melangola (o papero al melarancio), pietanza che, ben poco rivisitata, si può mangiare anche a Cerreto Guidi, dove ogni anno gli si dedica una gustosa sagra in luglio. Il papero al melarancio registrò un successo grandioso tra i commensali di Caterina: in omaggio al principio della reciprocità degli apporti, che sempre si verifica nell’incontro di culture diverse, i cuochi francesi vollero sostituire al glorioso protagonista della ricetta toscana una delle anitre degli allevamenti reali, eliminando il melarancio e rimpiazzandolo con le arance. Il Cognac al posto dell'unto toscano trasformò il nostro bel papero nel raffinato Canard à l'Orange alla corte francese della nipote di Lorenzo de’ Medici.




Ce la immaginiamo, protagonista assoluta dei suoi fastosissimi banchetti, a sventolarsi con uno dei suoi eleganti ventagli: non particolarmente graziosa, ma dotata certamente di fascino, le cronache del tempo riportano di un pranzo di gala dato in suo onore dalla città di Parigi nel 1549. A questa festa vennero serviti cibi che dovevano essere divisibili per tre, il numero perfetto della superstiziosa regina: "33 arrosti di capriolo, 33 lepri, 6 maiali, 66 galline da brodo, 66 fagiani, 3 staia di fagioli, 3 staia di piselli e 12 dozzine di carciofi".

Come mantenere l’eleganza di fronte a tutto questo bendiddio? C’est facile: con la forchetta!

“E quando siedi a mensa non fare un laido piglio", ammoniva già dal Duecento il maestro di Dante Brunetto Latini. Ebbene, con l'ascesa al trono del figlio Enrico III, Caterina riuscì a rendere obbligatorio l'uso del forcuto strumento. Il re ne ordinò l'utilizzo affinché si potesse "mangiare con pulizia”: se prima di lei un utensile con due soli rebbi si usava per afferrare le vivande solide dal piatto di portata e portarle nel proprio, alla corte di Caterina lo stesso strumento fu usato per portare il cibo dal piatto alla bocca.

Come godere della buona cucina senza eludere le regole della morale ed onorare il bon ton a tavola. De honesta voluptate.


2 commenti:

Antonio ha detto...

Ciao Silvia,
la tua dama di oggi lascerebbe spazio a una miriade, o quasi, di papabili cavalieri che, per assonanza oppure per dissonanza, hanno in qualche modo avuto a che fare nella loro vita con l'eleganza dei modi e dei costumi, nonchè con l'insegnamento del fine vivere..
Avevo pensato, naturale, a Giovanni Della Casa, più o meno contemporaneo della regina, conterraneo, anch'esso avvezzo a corti e Medici. Certo il suo galateo ben si confà alla rivoluzione della forchetta per la quale possiamo ben dire che, in fondo, i cugina d'Oltralpe, che spesso scrutano oltre i monti storcendo il naso, forse lo avrebbero fatto per lungo tempo, magari a ragione, ma con le dita unte..
Tant'è, a parte un filo di genuino nazionalismo culinario, col messere in questione c'era un piccolo grande intoppo..il titolo dvanti al nome: Monsignore..
E' vero che in questa rubrica di ho proposto anche dame per dame eccetera, però mi sembrava di mancare verso un personaggio così ammodo..per una volta rispetteremo appieno la costumanza e resteremo nel solco della tradizione..
Però ne posso proporre un altro, altrettaneto raffinato e considerato, che pur avendo studiato in seminario tralasciò presto la vocazione per seguire altre vie: Pellegrino Artusi, critico letterario, scrittore, gastronomo.
Con i saggi di letteratura non ebbe gran riscontro (come me al consorso di Villa Petriolo..), però il suo manuale "La Scienza in cucina e l'Arte di Mangiar bene" ha fatto epoca, venendo ristampato ancora oggi, a oltre cento anni di distanza, nel bel mezzo della temperie della cucina molecolare ecc..
(persino l'IPhone ha un applicativo con le sue ricette..).
Ciò che mi consola, è che lui pure fu "stroncato" dalla critica all'inizio....c'è speranza...!

silvia ha detto...

Ma che bellissimo gioco, Antonio, che è questo di Dame e cavalieri! Grazie!
A noi: Pellegrino Artusi...avrebbero avuto di che conversare in punta di forchetta, non c'è che dire, ottimo abbinamento per "consistenza" ;-)))....stroncato dalla critica?? non lo sapevo...merita una riflessione, giusto.

Per il tuo bel racconto: tutti avranno la possibilità di essere letti sul sito di Villa Petriolo....e non mancheranno giusti apprezzamenti, ne sono certa!

Un abbraccio.