mercoledì 17 giugno 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Medea, sapere del corpo e della terra




"L'immagine più terribile e irresistibile che ho di lei. Medea sacerdotessa sacrificante davanti all'altare di un'antichissima dea del suo popolo, avvolta in una pelle taurina, in testa un berretto frigio fatto coi testicoli del toro, contrassegno della sacerdotessa che ha il diritto di compiere sacrifici cruenti. (..) sono sicuro che voleva che la vedessi così, spaventosa e bella, la desiderai come non avevo mai desiderato una donna, non sapevo che c'è un desiderio che ti dilania, e fuggii quando le donne nell'ebbrezza del sangue cominciarono a pestare i piedi e a ballare atrocemente, e seppi che senza quella donna non potevo andarmene. Dovevo averla".



Quella donna mi sarà fatale, esordisce Giasone iniaziando a raccontare dalla propria voce la storia con la bellissima maga della Colchide.

Per Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi di questo mercoledì, la Medea di Christa Wolf, personificazione della cultura matriarcale non violenta, legata ai valori 'femminili' del concepimento e del parto. Una Medea rivisitata.

"La storia di Medea raccontata dalla Wolf modifica radicalmente la versione del mito della tragedia euripidea. E' in primo luogo il tratto più inquietante della donna-maga, l'infanticidio (presente anche nelle riletture del mito di Grillparzer, Alvaro e Pasolini), che viene rifiutato, nell'adozione di una versione pre-euripidea del racconto, secondo la quale i bambini furono lapidati dai Corinzi infuriati contro Medea, ritenendola responsabile (con le sue arti magiche) della peste che aveva colpito la città (perfetto esempio di capro espiatorio)".

"Fin dall'inizio pensavo che Medea fosse troppo legata alla vita per aver voluto uccidere i propri figli. Non potevo credere che una guaritrice, un'esperta di magia, originata da antichisismi strati del mito, dai tempi in cui i figli erano il bene supremo di una tribù, doveva uccidere i propri figli", le parole della scrittrice tedesca.




Medea è superba, sfacciata, provocante. Corre per le strade come un temporale, e grida quando è arrabbiata e ride forte quando è allegra. Agli occhi di Giasone.



Ma Medea è anche una donna forte e generosa, depositaria di un antico sapere del corpo e della terra, esperta in medicamenti naturali. Per questa sua diversità, questo sapere istintivo, "colei che porta consiglio" - Medea: che ha la capacità di guarire, secondo l'etimo indoeuropeo - è guardata con sospetto dalla cultura razionale di Corinto. Il buono, per la cultura di Medea, coincide con il «dispiegamento di tutto l'esistente». Sono i valori della fertilità e del rispetto della vita, la libera espansione vitale, il rifiuto della violenza e di ogni pretesa di imporre un ordine alle cose che guidano i gesti della mano di Medea. Che lenisce le ferite, accarezza i capelli dei figli, tocca nel ricordo il corpo di Giasone.



Medea, per la sua irriducibilità alla norma dei potenti, diverrà un perfetto capro espiatorio. Scoperto un orribile segreto, nascosto nei sottosuoli del palazzo di Corinto, sarà punita, sia nella nativa Colchide, sia a Corinto.

"So come mi avranno chiamata i Colchi dopo la mia fuga, vi aveva già provveduto mio padre: traditrice. La parola continua a bruciarmi. Mi brucia quella notte sull'Argo, una delle prime notti della nostra fuga, la flotta dei colchi, che ci inseguiva, ci aveva lasciati andare...". Per amore, Medea aveva lasciato la terra del padre consentendo a Giasone di conquistare il vello d’oro.

E’ un diverso sguardo che le fa scoprire la menzogna e la violenza su cui è basato il potere, anche a Corinto. Invidie, paure, ambizioni si scatenano contro di lei, la straniera, la barbara, la donna saggia, la guaritrice.

Attraverso le "voci", nel bellissimo romanzo dell Wolf, capiamo le ragioni di tutti, ma non possiamo non partecipare appassionatamente al palpitante confronto con se stessa di questa figura di donna eccezionale, "incantatrice di maschi e di serpenti", che ha guadagnato la dignità della propria vita accettando di correre dei rischi.

Quando arrivasti, Giasone, avrei potuto dirgli, eri un'ombra scura contro il cielo stellato, capitasti al momento buono, dicesti la cosa giusta nel modo giusto, mitigasti il mio dolore, che non conoscevi e che io credevo inestinguibile. Mi prendesti, come per scaldarli, i piedi tra le mani...


Medea, di Pier Paolo Pasolini

2 commenti:

Antonio ha detto...

Medea, la "trista" madre, Giasone, "traditore degli ospiti"...certo la versione "popolare" del mito è molto più truce per quel che riguarda, a dimostrazione che allora come oggi fa notizia la tragedia con la T maiuscola, il massimo grado di bestialità..
Una curatrice dilaniata fra amor filiale e amor carnale, o strega pazza seminatrice di morte (fratello, figli ecc.)..
UNa'ltra cosa colpisce: l'infanticidio, cioè il più infernale dei delitti, accostato, seppur con ben diverso significato, al tradimento degli ospiti..non tanto dell'amore..degli ospiti..certo il valore dell'ospitalità doveva essere ben grande, sacro. Rapportato a oggi fa sembrare ben misera la nostra socialità. Ma è un altro discorso...

Tenendo considerando la versione del mito da te prescelta, Silvia, a una donna dedita all'amore, lacerata dall'amore, tradita dall'amore, non potremo che auguare il riscatto e il sollievo di un amante che sia custode generoso e fedele di tanto sentimento..
Per una curatrice delle insanità ti propongo un altro semi dio, l'amico per eccellenza delle sorti umane..Ercole Alcide, che si sobbarcò immani fatiche per proteggere gli uomini dai capricci degli dei, in giro per il mondo con il pensiero della sua bella Deianira..proprio colei che per trappola di gelosia lo fece morire.
Colui che vinse gli dei fu tradito dall'amore..merita anche lui un amore sincero e dedicato...

Potremmo augurar loro il pensiero inciso sull'anello che Fersen regalò a Maria Antonietta. Ercole in giro ad aiutare l'uomo, Medea a ricevere gli ammalati..il pensiero: "Tutto a te mi porta.."

silvia ha detto...

tutto a te mi porta...Hanno il sapore di una resa queste parole, di una resa all'amore, un abbandono all'amore. Ribaltare la prospettiva: Medea si è abbandonata all'amore, in questo la sua forza. E anche quella di Ercole Alcide. Ci vuole coraggio ad abbandonarsi all'amore quando il contesto non è da favola. Ma forse è l'unica cosa sana fa fare, sempre, comunque.
Una bella coppia di coraggiosi. Come sempre, caro Antonio, hai unito alla mia dama un compagno degno di tanta bellezza. Grazie, a presto.