giovedì 3 settembre 2009

Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi. Tina Modotti, lo sguardo la passione



"Di Tina Modotti la prima cosa che arriva la bellezza. Un viso come scolpito, con due occhi di pece e una cornice di capelli corvini graziosamente divisi da una riga e splendenti. E poi, inscindibile, la sua arte, quel suo fotografare che riesce a riflettere in ogni cosa vista la bellezza. Un po’ come se le cose, i visi, i luoghi fotografati fossero degli specchi messi lì a riflettere la sua perfetta immagine. Fotografie che incantano come sortilegi e proiettano all’infinito la bellezza di Tina. Questa la cosa che più di lei affascina".

Apre così la recensione alla bella biografia Vita di Tina Modotti. Fuoco, neve e ombre (di Patricia Albers) della fotografa e attrice italiana, Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini (Udine, 17 agosto 1896 – Città del Messico, 5 gennaio 1942), la cui arte fiorì in Messico negli anni Venti, autrice della "prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico" - come la salutarono i contemporanei - che le costò l'espulsione dal Paese.



Causa l'urgenza, ed il piacere, di documentare la vendemmia in corsa a Villa Petriolo, Dei modi più eleganti di scendere dai tacchi occupa questa settimana il giovedì di DiVINando: dopo le foto che ritraggono le mani nell'uva dei nostri ragazzi intenti alla raccolta, splendide foto d'arte della leggendaria Tina Modotti. Lavoratori sotto i loro sombreri, mani di zappatori in riposo, di contadini che leggono El Machete (la rivista degli artisti della Rivoluzione); Tina ritrae donne coi propri bimbi al seno, scaricatori, e arnesi di lavoro e lotta.







2 commenti:

Antonio ha detto...

Cara Silvia, credo che essere acuti, talentuosi osservatori della realtà come era senz'altro la tua ultima dama segnifichi soprattutto cogliere l'essenza di ciò che si sta osservando. Andare aldilà. Di qui a essere artisti il passo è ancora lungo: bisogna trasporre, con un mezzo qualunque, questa realtà fermata in un attimo in un'iimagine, o un suono perfino, che direi metafisico credo. Cha sappia cioè trasmettere il senso più profondo, magari non l'unico, di quell'attimo osservato. E tutto ciò che lo circonda..
Nelle mani, negli attrezzi, in tutti i particolari delle immagini che ci proponi si "presentono" le persone, il loro sudore, la terra, la fatica...sono una biografia senza parole di una vita (dell'artista) e di una cominità. Forse anche di un'unica vita in realtà.

Ecco, oggi ti propongo, in quanto cavaliere, Giovanni Fattori, pittore della tua bella terra e fra i principali esponenti dei macchiaioli italiani.
Pur affondando le sue origini nell'ultimo romanticismo melodrammatico e poi nel realismo, partecipò al movimento precursore dell'impressionismo "al suo tempo era considerato rivoluzionario o quanto meno poco credibile, secondo il punto di vista dell'epoca, piuttosto che espressione di un'avanguardia".
Un cronista per immagini, ombre, impressioni, della Toscana cruda e selvatica dei contadini di un tempo, "guerrilleri" in un certo senso tanto quanto quelli ritratti dalla tua dama per la durezza della vita..
Rimangono i suoi butteri, mille volte ripresi, gli aratri, i buoi, la campagna arida infuocata, le donne a riposo. La fatica umana.
Questo un aneddoto riportato:"Come avrebbe ricordato lo stesso Fattori nelle sue memorie "Il Costa entrò, esaminò i miei tentativi della macchia fatti in campagna (i bozzetti che Fattori aveva eseguito nell'estate precedente, alcuni dei quali registravano la presenza in Toscana delle truppe di Gerolamo Bonaparte ndr) e con un certo cinismo mosse gli occhi sul mio quadro mediceo e mi disse in romanesco "ti imbrojano. Tu hai un paro de cojoni così e non lo sai." Mi fecero molto senso quelle parole e ci pensai molto". Ci pensò tanto che, dopo la visita del pittore romano, Fattori decise di abbandonare definitivamente le grandi composizioni melodrammatiche, care al Romanticismo storico, per imboccare la strada di un naturalismo integrale, applicando, anche ai quadri ufficiali e più ambiziosi, il principio della trascrizione in presa diretta del vero".
La presentazione della grande rassegna dedicata a Fattori in occasione del centenario dalla sua morte riportva: "La pittura della "macchia", per Fattori e per i giovani pittori toscani, fu una rivoluzione tecnica che nasceva da profonde motivazioni ideali. Una rivoluzione visiva che esprimeva anche una visione etica del mondo. Si voleva cambiare il modo di vedere e di dipingere la realtà per rivoltare la società e il mondo. Quelle pennellate dense, veloci, impulsive che stendevano sulla tela macchie di colore e definivano paesaggi e figure attraverso tagli netti di luce e ombra, furono il mezzo per cogliere l'immagine del vero in tutta la sua "immediata evidenza"."
Questa era una rivoluzione. Artistica.

silvia ha detto...

Caro Antonio, bentornato! La tua associazione Tina/Fattori mi ha fatto tornare alla mente una lettura che è un classico degli studi sull'arte, "Saggi sul realismo" di Gyorgy Lukacs. Vera arte è quella che ritrae interamente l'uomo, l'uomo totale nella totalità del mondo sociale, dice Lukacs. Questo fanno i grandi realisti: non mutilano l'essenza umana, non la deformano, ma, come tutti i grandi umanisti, rivelano alla società "il calvario odierno della totalità dell'uomo".
Una visione etica dl mondo, proprio quella che raffigura il mondo nella sua realtà.
Grazie Antonio, come sempre, per le tue sensibili considerazioni. Un abbraccio, alla prossima dama.... e relativo cavaliere!